La fotografia subacquea è un incredibile hobby e chi non si immerge non immagina cosa sia necessario per fotografare le creature marine. Se siete curiosi, ecco la mia attrezzatura e i principali aspetti del suo utilizzo.

CORPO MACCHINA

Nel 2006 ho iniziato a fare fotografia subacquea con una Nikon D200. Devo dire che sono rimasto notevolmente appagato da questo corpo macchina, e la curva di apprendimento è stata un po’ meno difficile di quanto mi aspettassi.

Grandi soddisfazioni sin da subito per quanto riguarda la macro: anche usando un solo flash i risultati hanno in fretta incominciato ad appagare le mie aspettative.

Meno soddisfacenti invece i risultati per quanto riguarda le foto ambiente, principalmente per la mia inesperienza ma anche per i limiti della D200 in quanto quella macchina non era ancora in grado di restituire quella profondità di colore e quella “ampiezza di cromaticità” che cercavo. Nel complesso mi sentivo molto lontano dalla qualità complessiva che otteneva chi, con la pellicola, lavora in analogico.

Nel 2012 si è aperta per me una “nuova era” con la nuova ammiraglia di casa Nikon, la D4. E’ stato un grande passo in avanti, non solo in termini di prestazioni. Le potenzialità della D4 infatti non solo mi hanno permesso di perfezionare i risultati della macro, ma lavorando a pieno formato ho notevolmente migliorato la qualità delle mie fotografie d’ambiente.

Una curiosità per i non appassionati: nella foto in testa a questa pagina potete ammirare la prima e la migliore fotocamera reflex mai progettata per la fotografia subacquea; la Nikon RS. Erano passati 7 anni da quando Minolta aveva introdotto nel 1985 la 7000, una macchina dotata sia dell’autofocus integrato sia dell’avanzamento automatico della pellicola, che Nikon sbalordì l'intera comunità fotografica introducendo la prima fotocamera subacquea reflex TTL al mondo, era il 1992.


CUSTODIA SUBACQUEA

Sia la D200 che la D4 sono “scafandrate” con custodie subacquee dedicate realizzate in alluminio dalla azienda austriaca Seacam.

Le custodie subacquee della Seacam sono eccellenti sotto molti aspetti. La precisione della progettazione di ogni componente e la cura di ogni dettaglio delle lavorazioni rendono questo prodotto uno dei migliori sul mercato per qualità, affidabilità e robustezza.


OBIETTIVI

Fino ad oggi sott’acqua ho utilizzato unicamente obiettivi Nikon e questi si dividono principalmente in due tipologie: macro e grandangolari.

Gli obiettivi macro, “micro” così come catalogati da Nikon, servono ad ottenere immagini di soggetti molto piccoli grazie a forti rapporti di ingrandimento. Per la Macro più spinta utilizzo il 105mm f/2.8 VRII, obiettivo di grande nitidezza con una buona velocità di messa a fuoco ed un ottimo sistema di riduzione delle vibrazioni. Qualità questa essenziale quando si vuole ad esempio mettere a fuoco l’occhio di un piccolissimo gamberetto simbionte che continua a cambiare posizione balzellando tra i rametti del suo crinoide.


Il 60mm f/2.8 è l’altro obiettivo per la macrofotografia ed è la lente che uso di più per due ragioni; la prima è che con il 60mm riesco a riprendere quasi tutti i soggetti e ricorro al 105mm solo quando voglio riprendere soggetti piccolissimi come il cavalluccio pigmeo Pontohi il cui corpo è lungo in media solo 8 mm. La seconda ragione è che il 60mm ha una distanza di messa a fuoco minima di soli 22cm mentre quella del 105mm è di 31cm.

Quindi con il 60mm ho, rispetto al 105mm, un terzo in meno di acqua tra la macchina ed il soggetto che voglio fotografare e questa, sott’acqua, è un grande vantaggio perché significa ridurre la quantità di sospensione che si può avere nella foto.

Gli obiettivi grandangolari che uso per la fotografia d’ambiente sono il 14mm, il 16mm Fisheye e il 20mm. Nei primi anni con la D200 ho usato principalmente due ottiche; il 10.5mm DX Fisheye e il 12-24mm.


FLASH

I soggetti che riprendo sono “pennellati” dalla luce prodotta da due Seaflash 150D della Seacam collegati alla D4 con appositi cavi e connessioni stagne.

Questi flash da 150 Ws con un fascio di luce di 130° illuminano molto bene sia piccoli soggetti sia l’ambiente sottomarino restituendo loro tutte le meravigliose tonalità che tanto ci stupiscono e ci emozionano. L’acqua ha un grande potere assorbente e più si va in profondità minore è la quantità di spettro luminoso che filtra e solo l’1% della radiazione solare supera i 150 metri di profondità. Per questa ragione, già tra i 5 e i 10 metri di profondità iniziano a scomparire i colori e non vedremo più il colore rosso.

TCon i Seaflash si può perfettamente lavorare in TTL. Io preferisco controllarne manualmente i settaggi di potenza per gestire a mio piacimento l’esposizione della foto. I Bracci in alluminio e relativi morsetti di serraggio sono sempre di Seacam.


LOGISTICA

Mi fa piacere condividere i dettagli della logistica del nostro bagaglio sia a titolo di curiosità sia per far capire ai non addetti ai lavori cosa implica avere la passione di portarci in giro per il mondo questo tipo di attrezzatura.

Non sono poche le volte che agli occhi dei normali vacanzieri sembriamo dei “pazzi fuori di testa” che al posto di andare in vacanza a riposarsi, si complicano la vita portandosi in giro un bagaglio degno di uno sherpa tibetano.

E parliamo allora di questo bagaglio! Con tutto il materiale necessario per due macchine fotografiche, ci presentiamo alla bilancia del check-in con circa 80 Kg di bagaglio da imbarcare in stiva.

In questi borsoni, mai grandi a sufficienza, mettiamo l’attrezzatura sub (pesi e bombole escluse ovviamente!!!), un numero limitato di vestiti e tutto il materiale fotografico non delicato (come carica batterie, braccetti dei flash, etc.) che possiamo permetterci di far maltrattare dal personale degli aeroporti con scossoni e cadute varie.

Alla quasi quintalata di borse imbarcate vanno poi aggiunti i tre bagagli a mano che ci portiamo in cabina totalmente dedicati all’attrezzatura. Nel nostro caso sono due robusti trolley che pesano circa 14 chili ciascuno. Il loro peso da Guinness dei primati è dovuto al fatto che contengono la custodia, i flash e gli oblò. Il terzo collo è uno zaino taglia 650 della Lowepro con i corpi macchina e gli obbiettivi. Barbara, con la nonchalance che solo le signore possono avere, cercando di far finta di niente si imbarca con il quarto bagaglio che portiamo in cabina; una borsa che contiene finalmente i pochi oggetti che non hanno nulla a che fare con la subacquea. Stipatissimi e stropicciati troviamo nell’ordine una settimana enigmistica, un paio di libri e lo stretto necessario (un paio di t-shirt, un costume, un deodorante ed uno spazzolino da denti) per un’autonomia di un paio di giorni nel malaugurato caso, ma assolutamente non remoto, di smarrimento del bagaglio.

Nella gestione di queste valigie viviamo a volte delle situazioni tragicomiche che sono spesso la conseguenza del nostro costante dissimulare che i trolley pesano quanto un’incudine. I vari regolamenti impongono che il bagaglio a mano non possa pesare più di sette chili altrimenti va imbarcato in stiva, cosa che non ci possiamo assolutamente permettere data la delicatezza e il valore del loro contenuto.

Uno dei siparietti più divertenti lo facciamo all’imbarco sull’aereo quando, con la nonchalance più sfacciata possibile issiamo i nostri trolley pesanti come incudini nelle cappelliere. Una volta su due queste si lamentano con preoccupanti cigolii di protesta e noi, nonostante i passeggeri vicini ci gettino qualche occhiataccia, continuiamo a far finta di niente: “Che rumore strano… Cosa può essere stato… No, mica l’ha provocato il mio bagaglio, come potrebbe, è un semplice trolley…”.

Ma non è finita qui, all’arrivo appena si spegne il segnale delle cinture di sicurezza ci precipitiamo sulla cappelliera per essere certi di aprirla per primi, con due mani, per evitare che la nostra incudine scivoli giù decapitando qualche ignaro passeggero e magari bucando pure il pavimento del corridoio!